Dalla Preistoria all’Impero
Il sito, tuttora occupato dalla Città di Como, rimase disabitato sino all’epoca della fondazione romana. Probabilmente la natura del terreno, resa paludosa dal lago e dalle sue esondazioni, nonchè dall’attiva presenza di tre fiumi (Cosia, Valduce, Fiume Aperto) sconsigliò l’insediamento dell’uomo preistorico che, ovviamente, non aveva adeguate conoscenze di ingegneria idraulica.
Al contrario, la corona esterna della convalle, quella oggi all’immediata periferia della città (S. Fermo, Prestino, Breccia, Rebbio, Grandate, Albate) testimonia una presenza fitta e costante di insediamenti, cronologicamente inquadrabili dalla fine dell’età del bronzo, e gravitanti intorno ad una grande necropoli comune, denominata “Cà Morta”.
Popolazione appartenente alla cosiddetta “cultura di Golasecca”, dal nome della località omonima in provincia di Varese, che caratterizza l’Età del ferro, in tutta l’area nord-occidentale italiana.
Come è possibile verificare, visitando le sale paleontologiche del Museo Civico, questi popoli avevano in comune il rito funebre della cremazione, che consisteva nel bruciare, su un rogo, il defunto, nel raccogliere in un vaso (ossuario o urna cineraria) i resti che poi venivano sotterrati, a volte con grande cura, insieme agli effetti personali e a qualche vaso accessorio che, probabilmente, conteneva il cibo necessario per affrontare il viaggio verso l’aldilà.
L’esame della ceramica e dei bronzi rinvenuti evidenzia, per la fattura della lavorazione e per la raffinata eleganza delle forme, un mondo ricco e culturalmente progredito.
Solo i reperti più recenti (V, IV secolo) dimostrano un impoverimento di forme e una certa grossolanità di gusto, che sicuramente sono da porsi in relazione all’invasione gallica della Pianura Padana.
I Galli, dopo aver sconfitto gli Etruschi al Ticino, probabilmente nei pressi di Magenta, si sovrapposero ai golasecchiani, anche nel territorio di Como, dove, secondo la tradizione liviana, costruirono ben ventotto castelli fortificati, gravitanti intorno a Comum Oppidum.
La Romanizzazione
Il primo contatto che i Comensi ebbero con i Romani fu nel 196 a.C. quando, insieme ai Galli alleati, vennero sconfitti dal console Marco Claudio Marcello, in località incerta, a sud della città.
Troppi furono i morti e, la conseguente resa incondizionata, portò i vinti ad abbandonare i villaggi situati sulle pendici montagnose, a ridosso dell’attuale sito (Monte Croce, Monte delle Tre Croci, ecc.) e a scendere in pianura.
Alcuni storici sostengono che, tale trasferimento, sia avvenuto più tardi, in occasione dell’incursione dei Reti intorno al 90 a.C.; si ritiene, però, che i Romani mai più, dopo un’impresa così sanguinosa (40.000 morti), potessero lasciare risiedere i vinti in luoghi difficilmente accessibili.
Comunque, nell’89 a.C., il console Pompeo Strabone, padre di Pompeo Magno, è a Como con l’incarico di ricostruire la città, distrutta dai barbari.
Se dobbiamo dar retta alla tradizione, inizia soltanto a questo punto la storia di Como, città di lago. Vennero incanalati i tre fiumi; l’antica “oppidum” venne legalmente trasformata in “colonia” e i Comensi iniziarono a costruire in riva al lago (Novum Comum). Negli anni settanta il console Gaio Scipione (ce ne parla Strabone) portò a Como tremila coloni.
Forse costoro si stabilirono nell’attuale Coloniola, rione della città, nella zona Est prospiciente il lago, che nella sua etimologia confermerebbe l’antica destinazione e che, nel suo attuale impianto, ricalca il sistema urbanistico ortogonale tipico dei “castra” romani.
Una seconda immigrazione si ebbe in età cesariana: cinquecento greci di Sicilia, insieme ad altri, si stabilirono a Como, portando nuove attività, come la coltivazione dell’olivo e della vite.
Fu una parentesi di grande respiro, sottolineata dalla pianificazione urbanistica della città: furono costruite le mura, ammirate e celebrate dal poeta veronese Catullo; tutto l’impianto urbanistico (l’attuale Città Murata) venne disposto in senso ortogonale; vennero edificati i palazzi di pubblico interesse.
Ma non si creda che, tale sviluppo, sia stato esente da contrasti e compromessi: la lotta tra Cesare e Pompeo portò a situazioni imbarazzanti.
Da parte del senato, venne contestato il diritto di cittadinanza romana alla città, tanto che un povero comasco fu costretto a sopportare la pena umiliante della frusta.
Con l’affermazione totale di Cesare, la situazione ovviamente mutò: Como divenne “municipio” e poté così acquisire una pressoché totale autonomia, confermata, del resto, dalla disponibilità degli imperatori successivi.